Mentre la ribellione dell’Egitto monopolizza le notizie sugli esteri, oggi in Afghanistan si è celebrato il funerale di una piccola rivoluzione individuale: quella di Hamida Barmaki, una donna coraggiosa, che ha studiato a Bologna per difendere i diritti a Kabul. Ma la cui giovane vita, assieme a quella del marito Massoud Yama e dei loro quattro figli, è stata stroncata dai terroristi talebani lo scorso 30 gennaio.
Nel 2006, Hamida Barmaki aveva studiato presso il Master in Development Innovation and Change dell’Università di Bologna. E aveva dimostrato il successo di queste iniziative italiane volte a creare una nuova classe intellettuale in un Paese distrutto da un trentennio di guerre continue. In questi ultimi anni, rientrata in patria, Hamida era diventata professoressa di diritto all’Università di Kabul, responsabile per i diritti dei bambini nella Commissione afgana indipendente per i diritti umani. Con un’associazione no profit di sua fondazione, aveva difeso i minorenni dall’esercito e dalla polizia afgani. Che, pur non raggiungendo i livelli di barbarie delle milizie talebane, comunque commettono abusi nei confronti dei minori e, quando possono, cercano di reclutarli.
Il 30 gennaio, stando alla rivendicazione dell’attentato, i terroristi non miravano specificamente a uccidere la Barmaki. Volevano distruggere, in generale, il luogo in cui si trovava in quel momento: il Finest Supermarket, un supermercato di Kabul frequentato soprattutto da stranieri. Hanno fatto di tutto per provocare la strage di civili (afgani e non) all’interno del luogo pubblico: il terrorista suicida ha sparato a tutti quelli che poteva vedere e ha lanciato tre bombe a mano, prima di farsi saltare in aria. I Talebani non sembrano affatto pentiti di aver ucciso Hamida, tutta la famiglia e altri otto civili (cinque dei quali stranieri): vogliono stroncare ogni possibilità di emancipazione delle donne. Hamida Barmaki, in questo, rientrava perfettamente nella categoria dei loro bersagli.