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Aung San Suu Kyi compie 65 anni oggi. A farle gli auguri, in prima linea, ci sono il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon.
In patria, in Birmania (Myanmar, come viene chiamata dalla giunta militare al potere), Aung San Suu Kyi non può assolutamente festeggiare. Il regime birmano continua a tenerla prigioniera dal 1989. Nel 1990 il suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia aveva vinto le elezioni, ma la giunta militare invalidò i risultati. Aung San Suu Kyi ha trascorso 15 degli ultimi 21 anni in prigione o agli arresti domiciliari.
Avrebbe dovuto essere liberata quest’anno, ma il governo è riuscito a incastrarla di nuovo: quando un misterioso cittadino americano, attraversando a nuoto il piccolo lago su cui sorge la sua casa-prigione, si è recato a farle visita, per lei è scattata immediatamente una nuova condanna.
Vincitrice del Premio Nobel per la Pace nel 1991 per la sua lotta non violenta a favore della democrazia in Birmania, Aung San Suu Kyi è ora uno dei migliori esempi di resistenza individuale. Sopporta con stoicismo la sua lunghissima detenzione e non è mai scesa a compromessi con il regime. Nel suo discorso di oggi, Barack Obama, rinnovando il suo appello per la liberazione della dissidente, la ricorda per la sua “determinazione, coraggio e sacrificio personale, nel lavoro che svolge a favore dei diritti umani e del cambiamento democratico”. Ban Ki-moon si dice “profondamente preoccupato” per il prolungamento della sua cattività domiciliare.