Quanto schiacciante può essere la logica secondo cui "business is business", ignorando la delocalizzazione delle industrie produttive, la manodopera sottopagata, la collocazione di sedi legali laddove le tasse sono più basse? Una logica finalizzata all'arricchimento di pochi, ignorando le conseguenze su molti, che ha richiesto per molti settori produttivi l'avvento di un materiale che non dovesse fare i conti con la limitatezza delle risorse del pianeta: la plastica.
È il 1997 quando Charles J. Moore, nelle acque dell'Oceano Pacifico, si imbatte in quello che rinomina l'ottavo continente, cioè la Great Pacific Garbage Patch, una immensa isola di plastica. In pochissime decine di anni quel nuovo materiale che aveva permesso all'economia di crescere ed era a sua volta cresciuto con essa, aveva già finito per soffocare una vasta area del Pacifico, fino a invadere oggi angolo di tutto il pianeta in modo pressoché irrimediabile.
"Ciascuna donna e ciascun uomo su questa terra se lo vuole è capace di compiere quello slancio dell'animo chiamato umanità", probabilmente l'unica via che ci permetterà di ricordare che abbiamo un solo pianeta su cui vivere e che esso è per noi la nostra casa, e come tale va rispettato e protetto giorno dopo giorno, non con la devastante logica "dell'usa e getta" che ha invaso le nostre abitudini quotidiane.
"Blue revolution" edito da Beccogiallo è composto da testi di Alberto Pagliarino, Nadia Lambiase, Paolo Piacenza e disegni di Benni: una graphic novel che ripercorre l'avvento della plastica, la sua esponenziale produzione (e sovrapproduzione), lo stretto legame con l'economia.