Cos’è GLOW? Un titolo scintillante. Perché? Perché, a suo modo, è coraggioso.
Disponibile su Netflix dallo scorso 23 giugno, è ispirato alla storia vera delle Gorgeous Ladies of Wrestling (acronimo: GLOW, appunto) un gruppo di donne che istituirono una versione in rosa della disciplina in cui l’arte di fare a botte si combina con quella pagliaccesca di prodigarsi in gag e lazzi.
Sull’argomento era già stato realizzato un documentario; era il 2012 e a firmarlo era stato Brett Whitcomb. Dall’anno scorso, però, la storia delle signore del wrestling è diventata una serie in dieci puntate, di cui presto sarà disponibile una seconda stagione. La serie, creata da Liz Flahive and Carly Mensch (e che vede tra i produttori esecutivi e sceneggiatori anche la Jenji Kohan che ha ideato Orange is the new black), è un racconto di disgraziati in cerca di una seconda chance o, soprattutto, di un palcoscenico sopra il quale poter brillare.
Sullo sfondo della serie si intrecciano le vicende di Ruth, un’attrice con poca fortuna (l’Alison Brie di Mad Men), la sua amica amata-detestata Debbie (Debbie Gilpin), ex stella delle soap opera, e un regista di B-Movies (Marc Moran) che cerca

di assemblare la squadra, mentre sullo sfondo si staglia la Los Angeles degli anni ’80 – 1985, per l’esattezza. Non è solo una questione di operazione nostalgia – le storie raccontate in GLOW, peraltro, sono molto diverse da quelle del gruppo realmente esistito.
Recitata dai tre protagonisti e dal cast tutto con una straordinaria aderenza alla narrazione, GLOW è una serie coraggiosa perché, senza essere beffarda, racconta con amarezza e lucidità la colonna in cronaca di una manciata di ambizioni, mostrando la complessità di personaggi mai banali, giocando a sovvertire gli stereotipi.